Rischio burnout per il professionista – Emanuela Barreri

Ci sono momenti in cui il livello di stress della professione supera i limiti fisici e mentali che il nostro corpo e la nostra mente non possono permettersi. In questi casi – per fortuna rari ma purtroppo in crescita – può essere diagnosticata la sindrome del “burn out”, termine che deriva dall’inglese e significa “bruciato, cotto, esaurito”.

Parole che definiscono in modo efficace questa sindrome, che in passato veniva diagnosticata per le professioni mediche mentre recentemente viene riscontrata anche in altre professioni non riferentesi all’area medica ma bensì all’area amministrativa (es. commercialisti, consulenti del lavoro, avvocati ecc.)

La persona che ne è affetta presenta sintomi fisici e mentali di vario tipo, quali ad esempio mal di testa, disturbi gastrointestinali, disturbi del sonno aggravati ed accompagnati da un distacco emotivo, senso di inadeguatezza, perdita dell’entusiasmo, incapacità di recupero delle energie e depersonalizzazione.

In alcuni casi il burn out può “allargarsi” a tutto lo studio, che entra in crisi. In altri casi può portare a gesti estremi. Per la diagnosi è necessario rivolgersi ad uno specialista, perché molti sintomi singolarmente individuati caratterizzano l’attività professionale di ciascuno di noi e possono anche riferirsi ad altre patologie, per cui è molto importante farsi seguire da esperti e non procedere con il “fai da te” su internet.

Ma perché anche il professionista dell’area amministrativa è soggetto a burn out?

Perché la professione è una relazione di aiuto, in cui il professionista molto spesso mette l’altro in primo piano con il rischio di essere sopraffatto dalle sue richieste e dalle sue ansie.

Se non si è in grado – per qualsiasi motivo – di mettere un confine tra noi e gli altri c’è il rischio di assorbire le preoccupazioni dei clienti e farle nostre, ammalandoci noi al posto loro o insieme a loro.

 

Non riuscendo quindi ad essere utili, perdendo la nostra funzione.

 

Questo rischio è stato molto forte durante tutto il lock down, perché i professionisti hanno lavorato indefessamente senza fermarsi, preoccupandosi per le difficoltà dei loro clienti. Ma oltre ai loro clienti c’era anche la preoccupazione per il proprio studio, per i propri dipendenti, la paura di ammalarsi, l’essersi ammalati o aver perso dei cari.

Tra i motivi del rischio burn out ci sono anche altri fattori, quali le caratteristiche di personalità, il rapporto con il denaro e i soldi, l’avere un rapporto continuativo nel tempo e tanti altri ancora che possono amplificare il rischio.

Ma qualunque siano le motivazioni è importante affrontare il problema e prevenire l’insorgere di questa sindrome – e dello stress in generale – prendendoci cura di noi.

 

Come?

Tante le possibili soluzioni, ognuno di noi è diverso dall’altro e deve trovare la propria via.

Ad esempio, abbassare le aspettative, imparare a gestire bene il proprio tempo, fare attenzione al perfezionismo, dire dei no, distinguere tra “occuparsi” e “preoccuparsi” per le cose, delegare, gratificarsi per i piccoli risultati raggiunti senza pensare sempre a quello che non abbiamo fatto.

 

Anche sul piano personale ci sono tanti possibili strumenti: curare l’alimentazione e la dieta, prendersi cura del proprio fisico e della propria mente, dedicare del tempo alle relazioni sociali e agli amici, coltivare un hobby.

L’importante è non scappare dai pensieri stressanti ma percepirli e gestirli, facendosi aiutare sia sul piano professionale che sul piano personale. Rivolgendosi a qualcuno, anche se non siamo abituati perché di solito siamo noi che aiutiamo gli altri.   

Avere la forza di volontà o farsi aiutare per trovarla per cambiare le nostre priorità, prima noi e poi gli altri.

Perché solo così potremo stare prima bene noi e poi aiutarli.

 

Articolo a cura di Emanuela Barreri, originariamente pubblicato su Ratio Quotidiano 11/6/2021 

 

Image by rawpixel.com

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